La discesa della paura, Marta Franceschini – Recensione

 

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Trama Sellerio

«Io sono la paura. Ne esprimo l’anima e l’incarnazione. La vivo, la respiro, la danzo». Questo «giallo» ha qualcosa di hitchcockiano, nell’identificare la soluzione del delitto col brivido della risoluzione di un trauma sepolto nell’inconscio di chi racconta ed è suo malgrado coinvolto nell’inchiesta. Ne è protagonista Lucia, fragile e tenera personalità, morbosamente attaccata ai suoi due affetti: una giovane madre, Marta, e la figlia. Nel parco, al fondo della ripida discesa di un sentiero, Lucia si imbatte nel cadavere di un ragazzo. È un tossicodipendente. Non pare essere, per le ferite e per altri indizi, una vittima del «giro», ma di qualcuno dei frequentatori del parco con i quali la timida Lucia quotidianamente passeggia. E della stessa mano sono gli omicidi, che seguono per mascherare il primo o per occultare una più lontana verità. Lucia, un po’ perché usata come esca, ma più perché attirata dalla fosca discesa verso un passato sotterrato dalle macerie della paura, finisce col seguire la sua pista, e scopre il colpevole in un parossismo di terrore e di liberazione. Lucia è un setter inglese tricolore, e cani sono, con i loro padroni, i personaggi di questo poliziesco cinofilo, il primo, forse, nella storia del «giallo» italiano. 

***

Lucia convive con una paura incurabile, inspiegabile agli occhi di tutti, che la attanaglia la gola come un cappio costantemente stretto. Non ricorda come e quando questo sia diventato il suo stato normale, ma non se ne allontana perché ormai la paura è l’unica cosa che conosce.

La diversità infastidisce. L’anormalità suscita la cattiveria. Adesso, dopo tre anni mi ignorano o tuttalpiù mi deridono. Buongiorno Cuor di Leone, hai fatto la guardia stanotte? Io non mi offendo. Guardo Marta di sottecchi per veder come reagisce. Ma lei tiene duro. Almeno davanti agli altri. Tira fuori una fierezza da Capo Indiano. Si può amare anche chi non migliora, dice, anzi sono proprio quelli che ne hanno più bisogno.

Lucia ragiona sul delitto e cerca il colpevole, segue le indagini e deduce in base al suo istinto. Essere sempre in disparte a causa della paura le dà modo di analizzare indisturbata tutti gli elementi. È, inoltre, un’attenta e acuta osservatrice del genere umano.

Nel complesso, mi sembra che tutti questi padroni siano molti soli. Forse per questo ci chiamano «animali da compagnia».

Cani e persone sono legati da un rapporto forte e bilanciato. Dove manca uno, arriva l’altro.

Sembrava che camminasse in punta di piedi per non disturbare, e che respirasse piano per non privare gli altri dell’aria. Non era paurosa come me, ma solo estremamente timida e riservata. Il più grande affronto che le si poteva fare, era metterla al centro dell’attenzione, esattamente il contrario della sua padrona. Che strano, così come il coraggio di Marta è opposto alla mia paura. Forse a questo serviamo noi cani. A mostrare ciò che i nostri padroni sono costretti a tenere dentro.

Il mio parere

Mi sono immersa in questo giallo con molta curiosità. La narrazione in prima persona dal punto di vista di Lucia, mette un velo di mistero in più intorno al delitto, poiché il cane sospetta, deduce, ragiona, ipotizza e scarta sospettati, ma non ha mezzi che vadano al di là del proprio istinto e dei propri presentimenti. Gli elementi del genere ci sono tutti e sono perfettamente incastonati. I fantasmi del passato riaffiorano e la matassa si svolge. Un originale e ben riuscito accostamento tra genere giallo e per amici dei quattro zampe. Lo consiglio.

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